“Noi doniamo – edizione 2019” ha passato in rassegna nella prima parte cifre, tendenze e analisi disponibili sulla popolazione dei donatori italiani e sull’ampiezza delle loro donazioni. Nella seconda parte ci si è concentrati su alcuni contributi di taglio scientifico che si sono interrogati su definizione, significato e confini del dono, cercando di riempire un bisogno di attribuzione di senso alla pratica donativa per rafforzare la consapevolezza e il suo valore intorno alla giornata del 4 ottobre. Nella terza parte abbiamo approfondito alcuni aspetti concreti del dono e delle donazioni, mettendo sotto analisi alcune pratiche e tendenze, con l’obiettivo di riflettere in maniera approfondita su quanto possano ricostruire una cultura condivisa del dono fra le persone e nelle realtà organizzate.
Trarre delle conclusioni è complicato ed è forse oggi uno sforzo inutile per la natura variegata ed eterogenea del presente Rapporto e per la moltitudine di significati che il dono stesso ha all’interno della società attuale. Ma è possibile delineare alcune conclusioni, certamente non esaustive, con l’intento di presentare alcune tendenze che facciano da stimolo alla riflessione.
I donatori sono, innanzitutto, una famiglia numerosa. È forse un’ovvietà, ma anche un dato che emerge con certa potenza se si condensano le informazioni ricavate nei precedenti capitoli. Non meno di 7,65 milioni di italiani donano denaro a una organizzazione e i trend donativi sono in leggera ripresa nella quasi totalità delle analisi presentate, dopo anni di stagnazione, se non vera e propria recessione, nelle statistiche.
È indubbio che esista un nutrito gruppo di persone che elargisce offerte informali, una quota che è plausibile stimare intorno ai 7 milioni di persone praticano volontariato, 1,68 milioni di persone donano il sangue, 3,61 milioni hanno acconsentito alla donazione dei propri organi e più di 440.000 sono iscritti al registro per il dono di midollo osseo. Si tratta, ovviamente, di insiemi che si sovrappongono e che non è possibile sommare, ma che restituiscono sicuramente una dimensione significativa del fenomeno, un universo di gesti di donazione che interessa una fetta importante della società.
È un mondo di persone in relazione con altre persone che è in continuo movimento, fondato sulla spinta a donare e a donarsi che rappresenta un capitale umano e sociale imprescindibile per la (ri)costruzione del benessere e per il contrasto alle diseguaglianze. Probabilmente il dono è una delle risorse principali che negli anni della crisi ha permesso e favorito una certa tenuta della coesione sociale. I donatori sono una famiglia stabile, nel bene e nel male. Costituiscono un gruppo che appare consolidato.
Ma è un gruppo che fatica a crescere. Al netto di tendenze non imputabili alla volontà di chi dona (il calo del numero di trapianti) e di accadimenti atipici (il boom dei donatori di midollo osseo) non si registrano movimenti sensibili.
Non stona, a prima vista, un parallelismo tra le tendenze osservate e la situazione socio-economica del Paese: la timida ripresa qui sopra richiamata, un sistema ancora forte del proprio patrimonio ma che ha interrotto la crescita o l’ha ridotta al minimo, il divario tra nord e sud e fra aree geografiche, le prospettive di invecchiamento e la preponderanza delle fasce di età più avanzate nella popolazione attiva si attagliano a entrambi gli scenari.
A una lettura più approfondita emergono importanti disomogeneità nella propensione al dono degli italiani nelle tre dimensioni esaminate, influenzate dalle principali variabili sociali, economiche e geografiche. Emerge una fotografia in cui nord, centro e sud del Paese faticano ad allinearsi a favore di un’area geografica, il centro-nord, capace di donare di più, spinto da una maggiore fiducia nelle associazioni non profit, un reddito più stabile e una platea di associazioni più numerosa alla quale attingere. Al contrario il sud e le isole vivono la loro dimensione donativa verso il Terzo Settore con più difficoltà e minore fiducia, sofferenti di uno storico disagio economico. La loro donazione è diretta, disintermediata e più di prossimità.
Situazione socio-economica, collocazione territoriale, percezione di benessere sembrano importanti variabili da considerare e da esaminare per riuscire a tracciare un quadro del fenomeno che indaghi approfonditamente anche la spinta motivazionale. Ma non basta, il tema della fiducia sembra centrale.
Se ci si sofferma sulle risposte dell’Italia che non dona o che dona solo in modo “informale” per il 29% dei primi e il 24% dei secondi “non ho fiducia” è la risposta più frequente. Questo ci obbliga a riflettere sul rapporto che il Terzo Settore ha con i propri donatori/volontari/beneficiari, sul livello di trasparenza delle proprie comunicazioni, sull’autenticità del rapporto, sulla capacità di misurare il proprio impatto e saperlo comunicare a chi ha contribuito a raggiungerlo. Sono temi a cuore dell’Istituto Italiano della Donazione, che guidano ancora oggi la sua missione a favore della diffusione di buone pratiche di comunicazione trasparente da parte delle organizzazioni non profit aderenti.
Da questo scaturisce la necessità di un Osservatorio sul Dono, che possa, a partire dalle analisi di contesto, lavorare su un Terzo Settore sempre più responsabile e rispondente alle richieste dei propri stakeholder.
Del futuro dell’Italia parla anche il futuro della pratica e della cultura del dono. D’altra parte, il solo indicatore che appare in netta crescita, per il secondo anno consecutivo, riguarda il peso delle donazioni economiche. Sarebbe interessante potere aggiornare le informazioni sull’ampiezza del dono nella dimensione del volontariato – per le donazioni biologiche, chiaramente, il dato non è ugualmente significativo – per verificare se sia una tendenza condivisa.
Se anche lo fosse, il campo non sarebbe sgombrato da alcuni problemi, a partire dalla necessità di rilanciare una diffusione della cultura del dono, fino all’interrogativo sulla sostenibilità di un sistema che carica un peso crescente su un bacino immobile. Anche il fenomeno delle donazioni economiche non è esente da contraddizioni e aree grigie, come rappresentato dalla sola crescita della quota di donatori che destinano cifre medio-alte che potrebbero rappresentare testimonianza del segno della crescita delle diseguaglianze.
Questi nodi problematici e interrogativi che sono posti all’interno del rapporto “Noi doniamo” spingono l’Istituto Italiano della Donazione a proseguire nell’opera di indagine e approfondimento delle pratiche di dono e di donazione, per dare un contributo culturale alla crescita del fenomeno e alla sua infrastrutturazione all’interno dei corpi sociali e dei settori produttivi.
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