Fondazioni ed enti filantropici: da erogatori ad attivatori  di capitale sociale e catalizzatori di innovazione – Noi doniamo 2019

Fondazioni ed enti filantropici: da erogatori ad attivatori di capitale sociale e catalizzatori di innovazione – Noi doniamo 2019

Carola Carazzone, Assifero
Avvocato specializzato in Diritti Umani all’Istituto Rene Cassin di Strasburgo e Master internazionale in Cooperazione e Sviluppo alla European School of Advanced Studies in Cooperation and Development dell’Università di Pavia, è Segretario Generale di Assifero dal 2014. E membro del board di Ariadne (European Funders for Social Change and Human Rights), di DAFNE – Donors and Foundations Networks in Europe, di ECFI -European Community Foundation Initiative e dell’editorial board di Alliance Magazine. È stata la prima donna Presidente del VIS (Volontariato Internazionale per lo Sviluppo) e, dal 2006 al 2011, la prima donna portavoce del Comitato per la promozione e protezione dei diritti umani. Tiene corsi di specializzazione presso le Università di Betlemme, Pavia, Siena e il centro di Alta Formazione Internazionale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro di Torino.
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Fondazioni ed enti filantropici: da erogatori ad attivatori di capitale sociale e catalizzatori di innovazione

Ancora troppo poco conosciute dal grande pubblico e poco riconosciute nel nostro Paese come partner strategico di sviluppo umano e sostenibile, le fondazioni di famiglia, di impresa, di comunità rappresentano oggi un attore fondamentale del sistema filantropico italiano.

In realtà, la forma giuridica della fondazione è solo una delle tante forme che la filantropia istituzionale oggi può assumere: fondi patrimoniali con diritto di indirizzo, collaborative fund, trust sono alcune delle ulteriori forme di enti filantropici che la filantropia istituzionale può assumere. Non rileva però, in questa sede, focalizzarci sulle forme giuridiche.

Le forme giuridiche sono neutre e strumentali per raggiungere una missione.

Qui ci interessa soffermarci sul concetto di filantropia istituzionale e differenziarlo da quello di donazione e dono, interrogandoci sul ruolo oggi della filantropia istituzionale oggi per il bene comune e la società.

L’ambito della filantropia istituzionale si sta espandendo in tutto il mondo e lo ha fatto in maniera esponenziale in Italia negli ultimi 20 anni. È un ambito emergente, dinamico e in fase di sviluppo, a livello qualitativo oltre che quantitativo.

Assifero ha sviluppato la nozione di filantropia istituzionale, nel corso del 2015 e 2016, anche in sinergia con EFC[1] (European Foundation Centre) e l’ha fatta propria con lo statuto del 2016, con l’obiettivo di contribuire a definire il settore in modo inclusivo e dinamico, a geometria variabile.

La nozione di filantropia istituzionale è stata poi alla base del nostro lavoro di advocacy nel contesto della riforma del Terzo Settore e del conseguente riconoscimento delle fondazioni ed enti filantropici agli articoli 37 e ss.

Identifichiamo dunque un ampio spettro di filantropia istituzionale in un approccio funzionale piuttosto che legalistico per comprendere l’attuale scenario filantropico italiano.

Le fondazioni ed enti filantropici, di natura e origine diverse, sono espressione di una volontà comune italiana, ove saperi, tradizioni, competenze e risorse finanziarie, ispirandosi ai principi della filantropia strategica, vengono messi a frutto per lo sviluppo umano e sostenibile del nostro Paese e di contesti internazionali. Le fondazioni e gli enti aderenti ad Assifero si riconoscono nell’ampia nozione di filantropia istituzionale come ambito sociale ed economico animato da organizzazioni senza fini di lucro che stabilmente catalizzano risorse, principalmente, ma non solo, economiche, provenienti da diverse fonti e le ridistribuiscono sotto diverse forme – elargizioni, investimenti, beni, servizi – per il bene comune e finalità di utilità sociale, solidarietà e sviluppo umano e sostenibile, a livello sociale, economico, civile, ambientale e culturale.

La filantropia istituzionale si differenzia dal dono, oltre che dalle donazioni una tantum, per alcune caratteristiche distintive e per il ruolo che vuole giocare nella società.

Iniziamo dalle caratteristiche precipue della filantropia istituzionale: l’istituzionalizzazione della volontà di contribuire al bene comune creando un ente sopraindividuale per catalizzare e gestire diversi tipi di risorse (finanziarie innanzitutto, ma anche immobiliari, relazionali, intellettuali), che chiamiamo tecnicamente continuum of capital: financial, intellectual, human capital[2]. Andando oltre il singolo individuo che dona, ma volendo creare un’istituzione preposta, la fondazione/ente filantropico riesce a capitalizzare diversi tipi di risorse – intellettuali, relazionali, economiche e immobiliari – per esempio da parte dei componenti del consiglio di amministrazione, del comitato scientifico e di altri organi di governance e poi continuare a catalizzarne di ulteriori in un processo che non solo è continuativo, non una tantum, ma anche dinamico, e non statico.

È inoltre proprio nella qualità delle loro risorse, più che nella loro quantità, che le fondazioni ed enti filantropici possono fare la differenza per il bene comune, visto che, diversamente dai donatori pubblici, sono enti privati indipendenti, agili e flessibili.

Seconda caratteristica dunque è l’autonomia delle risorse finanziarie che consente una grande flessibilità e agilità non solo negli ambiti da supportare, ma anche nelle modalità di utilizzo delle risorse, negli ambiti di applicazione e negli approcci.

Terza caratteristica precipua della filantropia istituzionale sta nella visione di lungo periodo che la contraddistingue. Chi costituisce una fondazione o ente filantropico lo fa per restare, con una visione di almeno 20 anni, che va al di là del singolo progetto. Questa caratteristica è chiave nel mondo contemporaneo, in cui tutto è accelerato, consumato e cestinato nel breve periodo. A differenza della politica, per esempio, le fondazioni ed enti filantropici possono avere una visione di lungo periodo dove il reale cambiamento sociale può realizzarsi.

Ulteriori caratteristiche riguardano pratiche e comportamenti: principi di governance quali rappresentatività, autorevolezza, trasparenza, relazione con i cosiddetti beneficiari, collaborazioni con altre fondazioni, enti filantropici e con differenti attori per il raggiungimento del bene comune e il grande tema della valutazione di impatto.

Infine, caratteristiche specifiche si stanno delineando anche nelle strutture operative delle fondazioni ed enti filantropici e nelle capacità e competenze specifiche richieste ai loro officer.

Ma quale è oggi il ruolo della filantropia istituzionale per la società?

Ben lungi dall’essere meri erogatori-tampone, distributori di un po’ di bellezza e di sollievo alla sofferenza, oggi le fondazioni ed enti filantropici sono probabilmente tra gli attori più capaci di innovazione e cambiamento sociale, più efficaci nel rimettere al centro dell’azione politica e sociale, il futuro.

Diverse per origine, dimensioni, visione e modalità operative, le fondazioni ed enti filantropici hanno un’enorme potenzialità strategica e di impatto.

Frutto moderno di una tradizione millenaria di solidarietà comunitaria diffusa in moltissimi paesi del mondo, in Italia in primis, hanno un ruolo specifico da realizzare per il bene comune che, a nostro modo di vedere, va ben oltre la distribuzione di donazioni a fondo perduto.

Il modello tradizionale di fondazione di erogazione, incentrato sul concetto di fondazione come patrimonio destinato ad uno scopo, si basa su alcuni elementi caratterizzanti: crescita del patrimonio, gestione patrimoniale e redistribuzione degli utili alla comunità attraverso l’erogazione di contributi con bandi, diffusione di una cultura del dono e, eventualmente, raccolta fondi.

Oggi, l’avvincente sviluppo e la vitalità dell’ambito e delle forme di filantropia istituzionale, la ricchezza della pluralità dei modelli, hanno dimostrato innanzitutto che non esiste un singolo paradigma applicabile ovunque, un prototipo da replicare one size fits all.

Ma allo stesso tempo, hanno messo a nudo la questione fondamentale che riguarda ciascuna fondazione e ente filantropico e che va dritta alla sua visione e alla sua missione: quale ruolo avere nell’affrontare le grandi sfide ambientali, civili, culturali, economiche e sociali che la comunità ha di fronte.

Generalizzando e semplificando, bisogna chiedersi se si mira a mantenere lo status quo semplicemente alleviando qualche sofferenza, tamponando qualche emergenza o restaurando un po’ di bellezza sul territorio o se, invece, si punta ad essere piattaforma, volano di cambiamento sociale contribuendo a spostare potere, partecipazione, agency più vicino alla comunità e alle organizzazioni del Terzo Settore.

Se definiamo e percepiamo le fondazioni filantropiche come enti di erogazione, esse potrebbero esistere in splendido isolamento, interagendo in modo minimale con le organizzazioni del Terzo Settore, con altri stakeholder e con la comunità stessa.

La tendenza a far coincidere l’identità delle fondazioni con l’attività erogativa è estremamente limitata e limitante e non dà conto del valore e delle potenzialità della filantropia istituzionale.

Innanzitutto, guardare alle fondazioni ed enti filantropici come meri enti erogatori significa trasformare un mezzo in un fine.

Le erogazioni non sono un fine bensì uno strumento – anzi, uno dei vari strumenti – attraverso cui le fondazioni ed enti filantropici perseguono i propri obiettivi di missione per il bene comune.

In secondo luogo, fa implicitamente intendere che le erogazioni siano l’unica leva a disposizione delle fondazioni. Ma il portfolio a loro disposizione per perseguire i propri scopi istituzionali è molto più diversificato e trasformativo e include, per esempio, l’attivazione di relazioni e connessioni, l’impiego del patrimonio in investimenti correlati alla missione o in investimenti a livello locale in economia reale o energie rinnovabili o impact economy, la presentazione di garanzie e prestiti, l’accreditamento di enti del Terzo Settore presso altri partner strategici, il dialogo strategico con altri attori locali, pubblici e privati, che hanno a cuore il benessere della comunità, la sperimentazione di policies.

Ben lungi dall’essere meri “enti erogatori” o peggio sofisticati bancomat, le fondazioni ed enti filantropici oggi possono essere “enti attivatori di capitale sociale e umano”.

Spesso le fondazioni ed enti filantropici hanno l’autorevolezza per diventare enti attivatori di capitale sociale perché sono in grado di chiamare attorno al tavolo tutti coloro che, su specifiche problematiche, hanno capacità, esperienze, competenze, asset – materiali e immateriali – da mettere a disposizione. Grazie alle caratteristiche uniche che le contraddistinguono (autorevolezza, neutralità, indipendenza, permanenza e olisticità) sono in grado di svolgere questo ruolo di coordinamento e di “chiamata alla responsabilità” in modo estremamente efficace.

Allo stesso tempo, essendo enti attivatori di capitale sociale, diventano catalizzatori di risorse finanziarie e non finanziarie, sempre più spesso partendo dagli asset di una comunità e non dai meri bisogni, ribaltando cicli di dipendenza che, negli ultimi 40 anni, hanno caratterizzato gran parte della progettazione sociale e del rapporto donatori- beneficiari.

Essendo enti attivatori di capitale sociale e catalizzatori di risorse e capacità, le fondazioni ed enti filantropici diventano allo stesso tempo propulsori di innovazione, in grado cioè di stimolare direttamente o attraverso la partnership con i tanti soggetti operanti sul territorio, processi di innovazione e sperimentazione in campo ambientale, civile, culturale, economico e sociale, di cui possono beneficiare non solo la comunità ma anche le politiche pubbliche locali.

Le fondazioni ed enti filantropici stanno trasformando il modo tradizionale di finanziare, di investire, di erogare sperimentando policies e approcci innovativi e nuove modalità di finanziamento, diverse dai bandi, attraverso policy di scouting, dialogo costante, accreditamento e costruzione di relazioni di fiducia basate sulla condivisione della missione e meccanismi di comparazione degli obiettivi strategici.

Stanno costruendo alleanze e partnership strategiche su missioni, che scardinino la relazione erogatore-beneficiario di progetto, verso un modello in cui il partner finanziatore e il partner implementatore stanno in una relazione di partnership strategica e reciprocità vitale e non di dipendenza top-down.

Essi affrontano questioni come la diseguaglianza, il razzismo o l’impoverimento culturale non con singoli progetti a sé stanti, ma selezionando accuratamente le organizzazioni del Terzo Settore ed investendo sulle loro missioni, sui loro obiettivi strategici, espandendo e catalizzando competenze e capacità.

In un mondo sempre più interconnesso e in continuo cambiamento, le fondazioni e gli enti filantropici devono essere in grado di collaborare tra loro e fare sistema, senza rimanere in isolamento solipstico, per potere affrontare le grandi sfide, ambientali, sociali, civili, economiche e culturali che investono la nostra società. Oltre a collaborare tra loro, le fondazioni e enti filantropici devono diventare parte integrante di un ecosistema, a cui contribuiscono mettendo in rete diversi tipi di capitale, che insieme formino un “continuum of capital, intellectual, human and financial capital”. Devono essere in grado di mettere in campo partnership strategiche con le organizzazioni del Terzo Settore, supportando, nel lungo periodo, la loro mission, i loro obiettivi strategici e le loro organizzazioni, non solo il loro progetti. Il rapporto tra ente filantropico e organizzazione non dovrà più essere gerarchico e visto in un’ottica top-down, in cui la fondazione ricopre una posizione di forza ed è un mero erogatore, bensì dovrà basarsi su un legame di fiducia reciproco e discussione tra pari.

Per fare un esempio a livello internazionale voglio citare Ise Bosch, fondatrice di Dreilinden, fondazione tedesca che supporta il riconoscimento sociale di genere e delle minoranze sessuali nel mondo, che nel suo libro “Transformative Philanthropy-Giving with trust”[3] parla della sua esperienza personale, quale pioniera di un modo nuovo di fare filantropia, la cosiddetta filantropia trasformativa. Con questo termine, intendiamo la capacità di una fondazione di mettere a disposizione di un’organizzazione le proprie risorse – finanziarie, immobiliari, personali – e le proprie competenze affinché abbia i mezzi necessari per raggiungere la propria missione e i propri obiettivi e sia in grado di affrontare, in collaborazione con la fondazione stessa, le sfide del nostro tempo. Ed è proprio da questo rapporto di collaborazione e fiducia che si genera il potere trasformativo della filantropia, in grado di cambiare e fare crescere la fondazione stessa e le organizzazioni del Terzo settore, entrambi al lavoro nel raggiungimento dello stesso obiettivo e nel perseguimento del bene comune.

[1] https://www.efc.be/knowledge-hub/institutional-philanthropy-spectrum/

[2] https://avpn.asia/coc/

[3] https://giving-with-trust.org/

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