Il dono al centro della relazione educativa – Noi doniamo 2019

Il dono al centro della relazione educativa – Noi doniamo 2019

Anna Cossetta, Università degli Studi di Genova
Dottore di ricerca in Metodologia delle scienze umane, è il direttore della Fondazione Agostino De Mari di Savona. Ha insegnato Sociologia Economica e del Lavoro presso l’Università di Genova e svolge da oltre vent’anni attività di ricerca sociologica nell’ambito dell’innovazione sociale e tecnologica, della ricerca valutativa, dei comportamenti online, della cooperazione allo sviluppo e del volontariato. E’ membro del Karl Polanyi Institute of Political Economy, del comitato scientifico di Societing, del Centro Studi di Etnologia Digitale, del Centro per la Cooperazione Internazionale del Trentino, dell’Archivio della generatività Italiana e di Kip School International. Coordina da oltre dieci anni il gruppo interdisciplinare “Ricerca sul dono”.
È autrice di quattro volumi e di oltre trenta articoli scientifici e saggi in testi italiani e internazionali. Tra questi si segnalano: Il dono al tempo di Internet (con Marco Aime, Einaudi, 2010), che è stato oggetto del tema di maturità 2014; Que donnes les femmes sur le web? (La Dècouverte, 2012),  The co-production of Social Innovation: The Case of Living Lab (Springer, 2014), The Gift: Women and the Internet (Inanna Publications, 2019).
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Il dono al centro della relazione educativa

È trascorso ormai quasi un intero secolo da quando, nel 1923, sono usciti due tra i libri più piccoli, ma più importanti sulla riflessione filosofica e antropologica del nostro esistere.

Un secolo che abbiamo tuttavia trascorso riprendendo quei due piccoli volumi solo di tanto in tanto, forse nei momenti di maggiore crisi. Li abbiamo tenuti sul comodino, ma in fondo alla pila, perché abbiamo trascorso molto più tempo ad accartocciarci nella solitudine, schiacciati dal dualismo che vedeva da una parte un individualismo sempre più sfrenato e angosciante e dall’altra un collettivismo ipertrofico e insostenibile. Un grande scontro che ha caratterizzato non solo il pensiero filosofico, ma anche la ricerca sociale, trascinando con sé gli impianti metodologici che cercavano di spiegare la nostra realtà sociale. Si è trattato di un conflitto che ha avuto importanti risvolti politici: il fine è costruito dall’individuo o dalla società. Come affermava Mises “la disputa sul realismo o il nominalismo dei concetti diventa uno scontro sulla priorità dei fini”[1].

La letteratura filosofica e antropologica che proponeva una terza via, è stata pertanto messa all’angolo, schiacciata dal più facile scontro dualistico.

Eppure, abbiamo imparato a nostre spese che è proprio una terza via quella da cercare, per comprendere meglio il nostro mondo e sanare così le ferite delle contrapposizioni.

Ecco che torniamo dal nostro comodino e ci ritroviamo a sfogliare e a soffermarci sulle poche pagine del “Saggio sul dono” di Marcel Mauss e di “Ich und Du” di Martin Buber e qui troviamo una spiegazione interessante del perché, ancor oggi, siamo in cammino e viviamo fuggendo e ritornando in un mondo tanto affollato e complesso.

“L’essere umano è per essenza dialogo”, scriveva Martin Buber. Oggi diremmo che l’essere umano è in quanto interconnesso con gli altri, con i quali deve costantemente intessere relazioni autentiche ed è in questa fitta trama di relazioni che trova un senso il suo esistere. Questo tessuto non è certo lineare, bensì complesso, disomogeneo, colorato dalle più intense e sfumate cromie, reso denso dai molti nodi e da qualche area più lisa. Ma è qui che si delinea la socialità, intesa come un “tra”, uno spazio di intersoggetività che è una categoria primordiale della nostra umanità. Le tracce di questa intersoggettività, l’esserci tra un nodo e l’altro sono costituiti dal dono, perché, e qui invece si riprende Marcel Mauss, il dono è relazione, il dono è il frutto proprio della triade del dare ricevere e contraccambiare che di fatto costituiscono le trame del tessuto.

Questa visione tutta relazione della socialità così come dell’esistenza umana, appare come una terza via, che va oltre le concezioni individualistiche o collettivistiche “classiche”, “l’essenziale si compie non nell’uno o nell’altro dei partecipanti, né in un mondo neutro che li comprende tutti e due insieme ad ogni altra cosa, ma, nel senso più preciso, tra i due, in una dimensione che, per così dire, è accessibile soltanto a loro due[2], afferma Martin Buber nella importante opera “Il problema dell’uomo”, successiva a Ich und Du, ma ad esso strettamente correlata. Questa dimensione “tra i soggetti” costituisce, di fatto, l’essenza del dono, la sua motivazione più profonda.

Noi doniamo per costruire i legami sociali, per renderli più forti, per sostenerli. Perché, per trovare un senso alla nostra esistenza, non possiamo semplicemente vivere nella società, ma dobbiamo riconoscerci attraverso lo sguardo dell’altro, comprenderne le reazioni, proseguire in questa continua altalena di asimmetrie che proprio il dono riesce a creare e a mantenere.

Nulla è meno gratuito del dono, diceva ancora Marcel Mauss. Il dono non è affatto gratis, ma anzi è pieno di interesse e di interessi. Interesse, se ci ricordiamo della etimologia della parola, è proprio ciò che sta “tra”, è quello spazio che ci permette di dare un senso al nostro vivere. Sembra strano, perché ormai così tante parole sono state risemantizzate in senso utilitaristico: interesse è una di queste, ma si può pensare anche a parole come “caro”, una connotazione affettiva che è diventata di prezzo elevato…

Il dono fa gettare la maschera a tutto questo: riconosce nell’altro il motivo del nostro esistere, nell’intersoggettività, la culla della nostra esistenza.

E se il dono è fondamentalmente relazione, allora il dono è anche il cardine della relazione educativa. Se ci pensiamo attentamente, l’atto educativo è intriso di dono, non soltanto perché la relazione educativa, essendo appunto relazione, implica un continuo dare, ricevere e contraccambiare che si esplicano nel donare sapere, nell’accogliere questa esperienza di conoscenza ricambiando con una progressiva autonomia, consapevolezza e capacità di dialogo.

Riconoscere il dono nel percorso educativo significa quindi riaffermare la natura dialogica, di incontro, nel processo educativo. Ha scritto recentemente Franco Cambi (2017): “Dentro l’atto donativo dell’educare si delinea una struttura plurale: di ascolto, di stimolo, di tensione verso una ricerca di senso […]. Così il dono è tornato oggi e con forza al centro dell’educare. In forma de-retoricizzata, analitica, critica[3]. Il dono è sempre stato al centro della relazione educativa: pensiamo a Socrate e al suo essere maestro “donandosi” in modo del tutto libero e dialogico. Socrate, addirittura, viveva di doni:

A Socrate offrivano ciascuno secondo le proprie possibilità molti doni; allora Eschine, un discepolo povero, gli disse: “Non trovo nulla da offrirti che sia degno di te e per questo solo m’accorgo di esser povero. Perciò ti dono l’unica cosa che possiedo, me stesso. Ti prego di gradire questo dono, qualunque sia, e pensa che gli altri, pur offrendoti molto, hanno tenuto per se stessi molto di più”. E Socrate gli rispose: “e perché il dono che mi hai fatto non dovrebbe essere prezioso, a meno che tu non abbia poca stima di te? Avrò, dunque, cura di restituirti te stesso migliore di come ti ho ricevuto”.

In questo brano si riesce a cogliere tutta l’essenza del dono e della sua componente educativa. Ogni volta che doniamo qualcosa a qualcuno, doniamo un po’ di noi stessi, della nostra esperienza, saggezza, ma anche con e attraverso le nostre debolezze.

Essendo il dono costituivo della relazione non può non essere contraddittorio, o addirittura paradossale. E si esprime e si sviluppa nei tre momenti del dare-ricevere-ricambiare proprio attraverso il riconoscimento dell’altro e del nostro bisogno dell’altro e per l’altro, in un incessante movimento che costituisce la struttura su cui poggia la stima sociale (cfr. Paul Ricoeur in “Percorsi”)

Il dono pertanto costituisce una pedagogia dei gesti, che rompe con la logica utilitaristica, così come quella del politicamente corretto, aprendo verso nuovi orizzonti, verso una passione per l’altro, come direbbe Elena Pulcini, che esprime desiderio di appartenenza, di legame per una più ampia realizzazione del sé. Non vi è l’egoismo di chi pensa solo ai propri interessi, ma nemmeno il sacrificio o l’oblio del sé come in certe forme di altruismo

Il dono si impara attraverso la cura, attraverso la consapevolezza di essere stati donati e di essere stati oggetto di cura, ma si dovrebbe anche imparare a riconoscere il dono intorno a noi, che molto spesso si traduce nelle forme della generosità, dal riconoscere l’esistenza dell’altro, dalla mancanza di una pretesa di restituzione istantanea, dalla capacità di attendere e di essere grati.

Il valore educativo del dono sta proprio in questo: nel diventare capaci, giorno dopo giorno, di estendere il dono al di là del privato, diffondendo quella pedagogia dei gesti che esprime un noi-con-gli-altri nel mondo.

 

[1]  L. VON MISES, Socialismo, trad. it. Rusconi, Milano, p.84

[2] M. BUBER, Il problema dell’uomo, Marietti, Genova-Milano, p.117

[3] F. CAMBI, 2017, Il dono nella relazione educativa e nella formazione di sé. Tre noterelle, Firenze University Press, p. 11-12

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