Il diritto oltre il dono – Noi doniamo 2019

Il diritto oltre il dono – Noi doniamo 2019

Luca Gori, Scuola Superiore Sant’Anna
Nato a Pistoia nel 1983, è ricercatore in diritto costituzionale alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Con Emanuele Rossi e Pierluigi Consorti è co-autore del manuale Diritto del Terzo settore (Mulino, 2018) e autore di numerose pubblicazioni sul tema della disciplina giuridica del Terzo settore. Insegna diritto del Terzo settore nell’Università di Pisa. E’ stato docente nel programma formativo nazionale di Capacit’azione e consulente di CSVnet, Forum del Terzo settore e altre reti di enti del Terzo settore.
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Il diritto oltre il dono

  1. Per affrontare, in chiave giuridica, il tema del dono, occorre partire della considerazione che esso, per il giurista, è – da tempo – un oggetto ambiguo[1], enigmatico[2]: sulla scorta di studi antropologici, sociologici ed economici, si avverte che il fenomeno donativo non si esaurisce, sul piano giuridico, nella disciplina del codice civile della donazione e dei negozi a titolo gratuito. Se così fosse, infatti, il diritto coglierebbe solo la manifestazione più epidermica di un moto profondo che attraversa tutte le società umane.

È innegabile, infatti, che la disciplina codicistica italiana risenta di un certo scetticismo ed una considerazione marginale nei confronti della gratuità: essa, infatti, contrasterebbe con una organizzazione sociale fondata sul rispetto dell’eguaglianza formale e sostanziale dei soggetti che entrano in un rapporto giuridico e, più in generale, sul libero esplicarsi delle forze economiche all’interno del mercato. Dunque, le norme dedicate agli atti a titolo gratuito – tutte rivolte a fissare forme, limiti e condizioni al loro compimento –  costituiscono non solo regole che presidiano l’autonomia fra i privati, ma rappresentano l’espressione di un più vasto programma di trasformazione sociale borghese, nel quale la liberazione dal bisogno non passa attraverso l’atto pietoso e caritevole del ricco verso il povero; nel quale la tutela degli interessi dei creditori è un valore primario; nel quale la trasmissione della ricchezza avviene secondo regole certe e dagli effetti predeterminati, non dettate dalle passioni o dai sentimenti del momento (come spesso sono gli slanci donativi!). In definitiva, è nel contratto (e nella libertà di contrattare) e nel sinallagma che si instaura fra le parti che si realizza pienamente la personalità umana e si costruisce un sistema di relazioni ordinato, razionale e satisfattivo dei bisogni individuali e, di conseguenza, di quelli collettivi.

In realtà, è lo stesso tessuto normativo che, progressivamente, ha rivelato l’insufficienza di una prospettiva giuridica limitata al quel solo angolo visuale.

In alcune pagine importanti, di recente, è stata portata ad emersione la categoria giuridica dei «doni non patrimoniali», intesa come atti che sono sorretti da ragioni di natura etica e morale, che perseguono una finalità solidaristica, preordinati all’attribuzione di benefici a carattere non patrimoniale, insuscettibili cioè di qualsiasi valutazione economica[3]. In questi casi, infatti, le tradizionali categorie giuridiche entrano in crisi poiché tali doni non solo soddisfano principalmente interessi non patrimoniali, ma non sono suscettibili di ricevere una valutazione patrimoniale (eppure hanno “valore”): in altri termini, essi non determinano un depauperamento del patrimonio del donante ed un conseguente arricchimento del donatario. È il caso della donazione di sangue, organi, della realizzazione di una performance artistica, ecc.

La legge 14 luglio 2015, n. 110, Istituzione della giornata del dono, pur limitandosi ad istituire una ricorrenza, promuove una concezione del dono assai ampia: l’obiettivo della giornata, infatti, è l’offerta ai cittadini (ma – si può ritenere – anche ai non cittadini…) dell’opportunità di acquisire una maggiore consapevolezza del contributo che «le scelte e le attività donative possono recare alla crescita della società italiana, ravvisando in esse una forma di impegno e di partecipazione nella quale i valori primari della libertà e della solidarietà affermati dalla Costituzione trovano un’espressione altamente degna di essere riconosciuta e promossa» (art. 1). Il legislatore parla – non a caso – di scelte ed attività donative indicandole non come “eccezionalità” in uno scenario di scambi sinallagmatici, bensì come paradigma di comportamento per l’intera comunità, assumendo che esse possano assumere una pluralità di forme e che vi sia un primato delle esperienze fattuali rispetto alla realtà giuridica che merita di essere approfondito sul piano narrativo e culturale (art. 2).

Il dono, nella legislazione più recente, trova anche uno specifico e significativo richiamo all’art. 2 del Codice del Terzo settore (d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117), ove si riconosce «il valore e la funzione sociale degli enti del Terzo settore, dell’associazionismo, dell’attività di volontariato e della cultura e pratica del dono quali espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo» (corsivo nostro). I poteri pubblici sono tenuti a promuoverne «lo sviluppo salvaguardandone la spontaneità ed autonomia» (tema assai complesso, come si vedrà) e favorendone «l’apporto originale per il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, anche mediante forme di collaborazione con lo Stato, le Regioni, le Province autonome e gli enti locali».

Merita notare come la cultura e la pratica del dono siano riconosciuti, insieme agli enti del Terzo settore, all’associazionismo (quale fenomeno più ampio del Terzo settore, parrebbe di capire), quale modalità specifica attraverso cui i cittadini, singoli ed associati, concorrono al perseguimento di quelle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale che sono il tratto distintivo del Terzo settore, per come declinato nella riforma. Il legislatore pare prendere atto dell’esistenza di una trama complessa di rapporti donativi che, in parte, trova una propria disciplina specifica nel Codice, ma che, in altra parte, ne rimane fuori. Esiste cioè un complesso di relazioni ispirate alla cultura ed alla pratica del dono che non si realizzano all’interno di un ente del Terzo settore e che, allo stesso tempo, non rappresentano un’attività di volontariato, almeno secondo la definizione di cui all’art. 17 del Codice del Terzo settore («il volontario è una persona che, per sua libera scelta, svolge attività in favore della comunità e del bene comune, anche per il tramite di un ente del Terzo settore, mettendo a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie della sua azione, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ed esclusivamente per fini di solidarietà»). Alcuni casi sono emblematici: la raccolta fondi spontanea o meramente occasionale, promossa da persone fisiche, a sostegno di una singola causa (la sanzione amministrativa nei confronti delle ONG, ad es.), l’intervento di singoli per migliorare la condizione o la fruizione di beni comuni (oggetto di una annosa vicenda giurisprudenziale sul c.d. volontariato individuale o non organizzato), la messa a disposizione di materiali on-line (la vicenda di wikipedia, ad es.), ecc.

In definitiva, si potrebbe ipotizzare che, sul piano giuridico, lo spazio tradizionale delle donazioni e degli atti a titolo gratuito (a contenuto comunque patrimoniale) costituisca solo un sottoinsieme di una area più ampia, giuridicamente rilevante, che si può definire come l’area del dono. Se per la prima, gli strumenti concettuali sono assai raffinati (sebbene sempre in evoluzione), per la seconda, invece, gli schemi interpretativi sono assai più complessi da individuare (più sviluppati per il volontariato; molto meno per altre forme inconsuete di dono), poiché essi non riguardano problemi di circolazione della ricchezza, ma i riflessi sul piano giuridico di motivazioni profonde di natura morale ed etica. Non è mancato chi, autorevolmente, ha sostenuto che sia pressoché impossibile ricondurre tutte queste manifestazioni all’interno di un paradigma di una qualche utilità per il giurista: si tratterebbe, al più, di un contenitore di una variegata serie di situazioni giuridiche. Eppure, tale difficoltà, non sembra poter condurre ad un approccio rinunciatario.

  1. Il diritto costituzionale può offrire alcuni criteri di orientamento.

In primo luogo, il dono, inteso come atto personale rivolto ad attribuire benefici, patrimoniali o non patrimoniali, a titolo gratuito, ad altre persone o ad una comunità (anche non precisamente identificata) con una finalità esclusivamente solidaristica (quindi non di puro trasferimento di ricchezza), rappresenta una espressione fondamentale del principio personalista e del principio solidarista di cui all’art. 2 della Costituzione. Nelle parole – sempre attualissime – della sentenza n. 75 del 1992, a proposito della legge quadro sul volontariato, la Corte costituzionale ha affermato che «[l’]azione positiva e responsabile dell’individuo che effettua spontaneamente e gratuitamente prestazioni personali a favore di altri individui ovvero di interessi collettivi degni di tutela da parte della comunità, (…) rappresenta l’espressione più immediata della primigenia vocazione sociale dell’uomo, derivante dall’originaria identificazione del singolo con le formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità e dal conseguente vincolo di appartenenza attiva che lega l’individuo alla comunità degli uomini. Esso è, in altre parole, la più diretta realizzazione del principio di solidarietà sociale, per il quale la persona è chiamata ad agire non per calcolo utilitaristico o per imposizione di un’autorità, ma per libera e spontanea espressione della profonda socialità che caratterizza la persona stessa. Si tratta di un principio che, comportando l’originaria connotazione dell’uomo uti socius, è posto dalla Costituzione tra i valori fondanti dell’ordinamento giuridico, tanto da essere solennemente riconosciuto e garantito, insieme ai diritti inviolabili dell’uomo, dall’art. 2 della Carta costituzionale come base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente».

Tali principi hanno trovato una loro positivizzazione giuridica nella disciplina del volontariato e delle organizzazioni di volontariato (legge n. 266 del 1991 e Codice del Terzo settore) ed oggi, nella più ampia e comprensiva disciplina del Terzo settore. Si potrebbe aggiungere che essa trova altresì una propria affermazione nella disciplina sul servizio civile universale, sul cinque per mille, sulla protezione civile, sul dopo di noi, sulla fiscalità e la finanza sociale, ecc.

L’indubbio favor costituzionale di cui gode l’azione positiva e responsabile che si esprime nel dono, quindi, impone di non ritenere le forme in cui storicamente esso si è manifestato sul piano giuridico come un hortus conclusus, bensì di affinare – anche grazie ai contributi di altre discipline: dall’antropologia alla sociologia, all’economia – una sensibilità ed una capacità di lettura della realtà in grado di valorizzare e sostenere anche inedite esperienze donative.

In linea generale, si può affermare l’esistenza di una libertà di donare, la cui ampiezza è data dall’esigenza di bilanciamento con altri valori di pari rango costituzionale, in grado di limitare l’espressione di tale libertà.

Qualche esempio, a questo proposito, può giovare. In occasione di un incendio che ha interessato un ampio territorio collinare, viene pubblicamente sollecitata la ripiantumazione dell’area da un comitato di cittadini, chiedendo di donare piante. Un gruppo di agronomi invita energicamente a desistere dal proposito donativo, al fine di evitare che specie vegetali non autoctone possano alterare l’ecosistema, determinando danni peggiori di quelli causati dall’incendio. In questo caso, la libertà del dono deve essere bilanciata, in una prospettiva di tutela di valori costituzionali, con quello della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema. Oppure, possono rammentarsi i casi più consueti previsti dal codice civile del divieto di donazione di beni altrui o di beni futuri, posti a presidio del diritto di proprietà e dell’iniziativa economica (specialmente dei creditori). Il legislatore può, quindi – come extrema ratio – pervenire alla previsione di un divieto di donazione per legge, quale misura che, limitando l’autonomia di un soggetto, mira ad assicurare una corretta dialettica fra valori costituzionali.

Al contrario, possono darsi casi di bilanciamenti contrari all’equilibrio disegnato dal legislatore costituzionale. Quasi caso di scuola la depenalizzazione della figura criminosa della mendicità (C.cost. n. 519 del 1995). Scrive il Giudice delle leggi che «la coscienza sociale ha compiuto un ripensamento a fronte di comportamenti un tempo ritenuti pericolo incombente per una ordinata convivenza, e la società civile consapevole dell’insufficienza dell’azione dello Stato ha attivato autonome risposte, come testimoniano le organizzazioni di volontariato che hanno tratto la loro ragion d’essere, e la loro regola, dal valore costituzionale della solidarietà. (…) In questo quadro, la figura criminosa della mendicità non invasiva appare costituzionalmente illegittima alla luce del canone della ragionevolezza, non potendosi ritenere in alcun modo necessitato il ricorso alla regola penale. Né la tutela dei beni giuridici della tranquillità pubblica (…) può dirsi invero seriamente posta in pericolo dalla mera mendicità che si risolve in una semplice richiesta di aiuto». Ma viene in rilievo, a giudizio di chi scrive, l’esclusione dei cittadini stranieri dal prendere parte al servizio civile nazionale. In questo caso si tratta di un dono di diversa natura. La Corte costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità dell’esclusione poiché «impedendo loro [ai non cittadini, cioè] di concorrere a realizzare progetti di utilità sociale e, di conseguenza, di sviluppare il valore del servizio a favore del bene comune, comporta dunque un’ingiustificata limitazione al pieno sviluppo della persona e all’integrazione nella comunità di accoglienza» (C.cost. n. 119 del 2015). In tal caso, la limitazione della possibilità di donare tempo, capacità ed esperienze, non essendo funzionale al bilanciamento con altro valore di pari rango, finisce per perturbare l’equilibrio costituzionale, incidendo sulla modalità con la quale si concretizza il principio solidaristico e si realizza la sussidiarietà orizzontale (art. 118, u.c. Cost.).

È un profilo generale – la tutela della libertà di donare –  che merita molta considerazione: infatti, la previsione di limitazioni normative (anche concernenti il modus: oneri di trasparenza, comunicazione, rendicontazione, ecc.) può determinare l’orientamento delle scelte donative verso talune attività o finalità, a discapito di altre[4].

Sotto altro aspetto, il legislatore può prevedere che la donazione sia l’unico modo in cui un bene possa essere trasferito da un soggetto ad un altro. Non già un obbligo di donazione, bensì una donazione necessaria. Ad es., si ritiene pacificamente che viga nell’ordinamento italiano (ed europeo) l’impossibilità totale di rendere il corpo umano e le sue singole parti oggetto di una valutazione di tipo patrimoniale e di commercializzazione (ad es., sangue umano, prelievo di organi da cadavere, ecc., con tutti i problemi che ciò comporta, dalla tutela dell’anonimato, al consenso informato, ecc.).

Ma i principi costituzionali agiscono anche come canone interpretativo della legislazione vigente. Di recente – assai significativamente – la Corte costituzionale (sentenza n. 114 del 2019[5]) ne ha fatto applicazione per rileggere la disciplina in materia di amministrazione di sostegno affermando che la condizione di fragilità nella quale si trova colui che è beneficiario di amministrazione di sostegno non comprime la rete di rapporti in cui si sviluppa la sua personalità: nelle parole della Corte, si tratta di «rapporti che richiedono senz’altro il rispetto reciproco dei diritti, ma che si alimentano anche grazie a gesti di solidarietà (…). Nell’architettura dell’art. 2 Cost. l’adempimento dei doveri di solidarietà costituisce un elemento essenziale tanto quanto il riconoscimento dei diritti inviolabili di ciascuno, sicché comprimere senza un’obiettiva necessità la libertà della persona di donare gratuitamente il proprio tempo, le proprie energie e, come nel caso in oggetto, ciò che le appartiene costituisce un ostacolo ingiustificato allo sviluppo della sua personalità e una violazione della dignità umana». Si potrebbe parlare di una interpretazione costituzionalmente orientata nella quale la “stella polare” è rappresentata dalla logica del dono come realizzazione della persona umana nella sua dimensione di socialità.

  1. Quale la funzione del diritto, dunque? Pare poterne individuare tre, fra le altre: riconoscimento, promozione e tutela.

La vera “sfida”, più affascinante, è posta dalla capacità del legislatore di riconoscere le nuove relazioni donative, ovunque esse si sviluppino (anche nei rapporti con lo Stato, o nella dinamica tipica del mercato) e di promuoverle adeguatamente (ad es., al dono al tempo di internet[6], al dono associato a strumenti finanziari, ecc.). Questa capacità di lettura della realtà sociale è il presupposto affinché l’ordinamento possa svolgere efficacemente la propria funzione promozionale.

Quest’ultima funzione è da intendersi nel senso di provocare e sostenere l’esercizio di un atto o di una attività conforme ai valori indicati nel testo costituzionale. Nella misura in cui la donazione si inserisce nello schema costituzionale sopra delineato dalla sentenza n. 75 del 1992, il legislatore è chiamato a definire norme che attribuiscano un vantaggio a favore di chi assuma comportamenti donativi, dotati di certe caratteristiche (finalità, modalità, ecc.) che esprimano il “bilanciamento” con altri valori costituzionali, come si è detto.

L’ordinamento, in tal modo, riconosce una certa condotta come meritevole di essere promossa e promette l’attribuzione di un vantaggio (generalmente, ma non necessariamente, tributario) a chi decida di conformarsi liberamente. Il soggetto che si conforma alla condotta ha il diritto a ricevere il vantaggio promesso dall’ordinamento; il soggetto che non si conforma, al contrario, non subisce alcuna conseguenza negativa, ma non ottiene alcun vantaggio. È in questa chiave che si leggono le disposizioni promozionali sulle liberalità del Codice del Terzo settore, che al loro interno sono peraltro graduate secondo diverse considerazioni di meritevolezza, nella logica della c.d. sussidiarietà fiscale (maggiori per le organizzazioni di volontariato rispetto a tutti gli altri ETS; distinte fra donazioni in danaro e donazioni in natura, ecc.).

Se si guarda quanto avvenuto con la legge 19 agosto 2016, n. 166, Disposizioni concernenti la donazione e la distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici a fini di solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi, si osserva esattamente la dinamica che si è descritta: “riconoscimento” di alcune problematiche prassi sociali e, successivamente, loro “promozione” mediante alcune norme giuridiche.  

Infine, tutela della libertà di donare. Tale tutela si realizza primariamente nella protezione della genuinità del processo formativo della scelta di donare (ad es., prescrivendo requisiti di forma) e nella disciplina degli effetti (ad es., revoca). Ma si realizza anche – come si è visto – nella tutela dalle interferenze indebite del potere politico che, mediante la legge, intenda orientare, limitare o condizionare i comportamenti donativi (ad es., prescrivendo requisiti troppo onerosi o differenziando la disciplina in base ai settori di attività).

La tutela si estende anche all’interesse del donante a che il donatario utilizzi l’oggetto della donazione per gli scopi dichiarati: in questa direzione è aperta, da tempo, una riflessione che mira ad individuare gli strumenti giuridici più efficaci tramite i quali l’interesse del donante possa essere protetto e – se del caso –oggetto di tutela giurisdizionale. In realtà, se l’oggetto più immediato della tutela è – appunto – l’interesse del donante, tali misure presidiano, più in generale, la fiducia esistente fra i consociati e fra quest’ultimi ed i pubblici poteri[7]. Non si può sottovalutare, dunque, questo aspetto: le norme di trasparenza e rendicontazione sono il presidio della fiducia della relazione donativa, ed occorre commisurarle attentamente a questo scopo (ad es., evitando inutili adempimenti).

  1. Così definita la “funzione” che si attribuisce al diritto, la chiave di volta è rappresentata dal paradigma costituzionale della solidarietà orizzontale (da taluni chiamata, con un lessico forse démodé, fraternità[8]). È stata definita come la consapevolezza di una strutturale interdipendenza per la quale l’individuo si riconosce radicalmente e stabilmente dipendente, poiché avverte che «la sorte di ciascuno è legata a quella di tutti, e cioè al “tutto” (…) della formazione sociale, della comunità nel suo insieme[9]».

Il diritto è chiamato promuovere queste relazioni di interdipendenza che si esprimono in scelte e condotte donative (e che innescano, inevitabilmente, nuove relazioni e trasformazioni anche sul piano giuridico). Ma, soprattutto, il diritto deve resistere alla tentazione di sostituirsi, guidare, controllare tali relazioni, poiché – diversamente – trasforma la trama di relazioni donative in uno strumento pubblicistico (o, comunque, sottoposto a controllo pubblico), snaturandone la natura, il fine e, in definitiva, l’efficacia. E deve assumersi – ove necessario –  la responsabilità di mediare, nella dialettica fra i valori ed i principi costituzionali. Non il dono oltre il diritto ma  – come è stato efficacemente sostenuto – il «diritto oltre il dono[10]».

[1] Sul punto, S. Rodotà, La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, Milano, 2006.

[2] Questo il titolo del lavoro M. Godelier, L’ènigme du don, Parigi, Flammarion, 1996.

[3] Davvero utili sono le osservazioni G. Resta, Doni non patrimoniali, in Enciclopedia del diritto, Ann. IV, Milano, 2011, 510 ss.  

[4] In definitiva, e con tutte le avvertenze del caso, è ciò che è accaduto con la legislazione in tema di partiti politici (e soggetti equiparati: cfr., sul punto, la c.d. legge Spazzacorrotti, n. 3 del 2019), ove la previsione di misure di trasparenza in tema di donazioni, legate all’obiettiva delicatezza delle funzioni costituzionali svolte, esprime in realtà in atteggiamento di profonda sfiducia nei confronti di tali soggetti.

[5] Sul punto, molto utile il recente commento di E. Vivaldi, L’esercizio dei doveri di solidarietà da parte della persona con disabilità, in Osservatorio costituzionale, 4, 2019.

[6] Ad es., il bel lavoro di M. Aime- A.Cossetta, Il dono al tempo di Internet, Torino, 2010.

[7] Interessanti le pagine di E. Resta, Le regole della fiducia, Roma-Bari, 2009.

[8] Su questo aspetto, molto utile è la riflessione di F. Pizzolato, Il principio costituzionale di fraternità, Roma, 2012; A.M. Baggio, Il principio dimenticato. La fraternità nella riflessione politologica contemporanea, Roma, 2007; E. Resta, Il diritto fraterno, Roma-Bari, 2005.

[9] S. Galeotti, Il valore della solidarietà, in Diritto e società, 1, 1996, 10

[10] Si riprende l’espressione di N. Lipari, I diritti oltre il dono, in AA.VV., Oltre i diritti, il dono, Fondazione italiana per il volontariato, Roma, 2001, 177 ss.

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